C’è un motivo per cui vi faccio vedere questi due dischi. Ecco svelato l’arcano: Alex Gray è anche il designer delle copertine dei Tool in "Lateralus" e "10.000 days", il nuovo disco. Dicevo che c’è un motivo: con entrambi i dischi è avvenuta la stessa dinamica nella mia vita di fruitrice musicale. All’inizio entrambi non mi piacevano, non riuscivo a capirli, mi sentivo delusa da gruppi che seguivo da anni. Poi pian piano si sono insinuati nella mia mente e nella mia anima due pezzi che reputo epocali: KidA, in uno. e Right in Two nell’altro. E pian piano sono arrivati tutti gli altri come in una catena. Un’altra cosa in comune: sono entrambi figli di un disagio profondissimo e disturbante. Non voglio però parlare di KidA, magari più avanti farò un’articolo apposito, ma di quello dei Tool. Intanto a grandi linee vi faccio sapere chi sono: I Tool sono un progetto nato nel 1991 a Los Angeles che con il passare degli anni è riuscita più di ogni altra band incastonata nel vasto panorama heavy/alternative metal a lasciarsi ascoltare da persone anche non particolarmente avvezze a sonorità più dure. Tutto questo grazie alle liriche visionarie del frontman Maynard James Keenan e alle musiche complesse e non facilmente assimilabili dall’ascoltatore al primo colpo. Il quartetto, formato oltre che da Keenan, dal chitarrista Adam Jones, dal bassista Paul D’Amour (prima) e in seguito dal britannico Justin Chancellor e dal batterista Danny Carey, vero motore propulsivo delle lunghe tracce della band. Il debutto discografico arriva nel 1992 con l’EP Opiate, 6 tracce che ancora non lasciano intuire le sonorità che poi renderanno celebri i quattro; l’unico spunto si ritrova nella conclusiva title track. Spunto che verrà ripreso ed ampliato nell’album di debutto (Undertow) l’anno successivo. Undertow uscito in piena esplosione "grunge", si presenta come un "soggetto anomalo" nel panorama complessivo del sound a stelle e strisce di quegli anni; i suoni non ricordano affatto la furia punk/grunge dei Nirvana, ma neppure il più classico Thrash metal di stampo Metallica. E’ qualcosa di nuovo che trae ispirazione da storie d’amore perverso o dalle tante, troppe, discrepanze che intaccano la società americana, dalla religione ai rapporti sociali.Il passo successivo è Aenima (1996): il tutto si dilata ancor di più, vengono inserite nel tessuto sonoro, già molto fitto, percussioni, campionamenti e effetti alieni a qualunque band che si possa definire heavy metal; basti pensare all’intro di Eulogy, tutta giocata su percussioni che ricordano i cucchiai di Spoonman dei Soundgarden e sui suoni emessi dalla voce filtrata di Maynard James Keenan, o a Message To Harry Manback (un messaggio in italiano lasciato sulla segreteria telefonica di un amico del cantante e accompagnato sul disco da un malinconico pianoforte). Hooker With a Penis ci rimanda alle sonorità dure e pure di Opiate, Pushit e Aenima sono quanto di più bello, sognante, trascinante c’hanno regalato i Tool: un continuo mutare d’atmosfere, di suoni, con la voce di Maynard James Keenan a far da Caronte in un viaggio verso il lato più oscuro dell’uomo. Dopo aver finito la promozione per il disco Maynard si imbarca in un altro progetto sonoro, accompagnato dal chitarrista Billy Howerdel: A Perfect Circle. Rimangono le chitarre pesanti, ma si lascia più spazio alla melodia ed il minutaggio delle canzoni e dei dischi diminuisce sensibilmente. Dopo la raccolta di rarità Salival (da ricordare la cover zeppeliniana di No Quarter e versioni dal vivo che superano la bellezza degli originali in studio di Pushit e Third Eye). Ed eccoci al terzo tassello: Lateralus. Un disco atteso più che mai dai fan e dalla critica mondiale e che non delude affatto, anzi. C’è un cambiamento sensibile nelle tematiche dei Tool (escludendo Ticks & Leeches, forse tra i pezzi più duri della band), i temi cari in passato dalla band lasciano spazio a una certa vena spirituale, rappresentata anche dal booklet del disco, un corpo umano su sfondo trasparente che pagina dopo pagina si spoglia sempre più delle proprio carni. (tratto da wikipedia quindi se ci sono delle inesattezze prendetevela con loro NdK) In 10000 days si ritorna a parlare delle questioni personali del cantante e, in particolare, del calvario vissuto per la malattia della madre fino alla morte. All’inizio sentendo Vicarious, il singolo, e leggendo il testo avevo pensato a The Barry William show, conoscendo anche la stima che Keenan nutre per Gabriel, ma poi ho capito che non centrava assolutamente nulla: non è una critica alla televisione fine a se stessa ma è sempre lui, sempre Maynard che si trova a vedere la tv dopo il diluvio, il calvario, il dolore, la perdita, e sembra che l’orrore del mondo sia un riflesso dell’orrore e del dolore che si agitano dentro di lui. Per me lampante la frase "Voglio vedere le cose morire … da lontano". Toccanti, dolorosamente commuoventi la suite Wings for Marie e 10,000 days (Wings II): se siete ipersensibili come me vi consiglio di non ascoltarlo, mi sono messa a piangere come un’infante. Right in two è superba: disillusione pura verso l’umanità. Ti aspetti che debba esplodere e che i musicisti si mettano a picchiare duro da un momento all’altro e invece no, la rabbia è contenuta da un lungo inserto tribale per poi arrivare in fine alla durezza. Magnifica. Secondo l’autore non abbiamo speranza, continueremo a rimanere scimme che si uccidono l’uno con l’altro. Ci sono anche rimandi all’espansione di coscienza attraverso l’Lsd nel trittico Lipang Conjuring/Lost keys/Rosetta Stoned (ringrazio quelli del forum 3rd eye per avermi aperto gli occhi). Raffinato gioco di parole di Rosetta Stoned: un richiamo alla stele di Rosetta ma "stoned" in inglese vuol dire anche essere preda di sostanze stupefacenti. E il richiamo velato a Timothy Leary e al nuovo linguaggio, per cui ci vuole una stele di Rosetta, attraverso l’espansione della coscienza. Questo disco per me è quadridimensionale sia per quanto riguarda la simbologia, la complessità degli argomenti trattati, sia per la musica: non appena ti accorgi di un piccolo tassello del puzzle qualcos’altro richiede la tua attenzione e ti sfugge dalle mani, nella musica, a volte evocativa quasi sciamanica, a volte dura e tagliente, sia nei testi. Sembra quasi che non si riuscirà mai a percepirlo nella sua interezza. Il disco si chiude con "Viginti tres": opera malevola e terrorizzante, per niente confortante. Quasi una sorta di orrida creatura lovecraftiana che improvvisamente ti ghermisce nel buio profondo. E tutti quanti noi del forum ci stiamo spaccando la testa su cosa possa significare mettendo in gioco I-ching, numerologia e la data della fine del mondo per i Maya: 23 dicembre 2012, e ancora altro. Insomma che vi devo dire? 10,000 days Tool: laureato al 110 con lode. Grazie mille, ragazzi. 

P.S. Perchè devo stare male di schiena e non riuscire ad andarli a vedere in concerto?? Ci andrei anche da sola, tanto qualche amico a Milano lo troverei sicuramente. Che sfiga.  Alla fine ce l’ho fatta a recensirlo. Pareva impossibile…

Pubblicato da krishel

Appassionata di musica, cinema, letteratura, scrivo solo per passione quello che mi passa per la testa.

3 Risposte a “”

  1. complimenti anche a te 😉

    tra l’altro la cosa dell’LSD mi era sfuggita (è vero, Hoffman è il padre della sostanza) *_*

  2. Bella Recensione. Ammetto che le prime due canzoni sono talmente perfette e TOOL Style che nonostante siano stupende sminuiscono con il resto. Spero che dal vivo inseriscano presto ‘Wings for Marie’ e ‘10,000 days’…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.