Thank you Peter.

E’ stato come ritornare indietro nel tempo di 21 anni: sentire brani con cui sono letteralmente cresciuta non ha prezzo. Arriviamo a Brescia e già la prima sorpresa: per la prima volta assisto al soundcheck e li sono i primi colpi al cuore. D.I.Y e The rhythm of the heat. Non li ho mai sentiti dal vivo, la tensione è palpabile. Mi sembra di essere un sogno. Poi un’altro piccolo tassello nella mia militanza: conoscere di vista Yukari, la famosa fan giapponese che era vestita splendidamente con un incantevole kimono. Prima o poi la vostra padrona di casa ne indosserà uno, poco ma sicuro. Ci rimandano indietro, piove mezz’ora giusto per il gusto di dare fastidio a noi poveri fan in attesa. Si entra. Per una volta non ho sofferto della sindrome da band spalla: si trattava di tale Charles Winston che ha fatto musica gradevole, a tratti mi ricordavano gli Shudder to think. Piacevole davvero e ho intenzione di approfondire. Poi si inizia. E si inizia con il botto. The rhythm of the heat. C’ero e non c’ero. Ero in trance, come preda di un rituale antico con Gabriel come officiante. Si prosegue. Siamo tutti in onda ON THE AIR!! E’ semplicemente esplosiva urlavamo come matti. Intruder e sono brividi. Brividi dietro la schiena intensi. Peter Gabriel assume dei connotati decisamente luciferini, davvero inquietanti. Ho avuto davvero paura ma era anche esaltante. Eravamo diventati tutti l’intruso, tutti quanti vedevamo la paura e lasciavamo il nostro marchio…<br />D.I.Y dal vivo ha una potenza incredibile. Peter ama davvero giocare con il pubblico, sapendo che riceve pronta risposta. Su Blood of Eden sono crollata di netto, sono scoppiata a piangere ma mi sono ripresa subito per il brano successivo. Quando ha cominciato a parlare di malattie e di testi antichi non ci ho visto più e ho urlato Moribound!! E’ una canzone dal primo resa con l’incedere reggae è davvero strana forte, grottesca persino con Peter veramente in forma che ama giocare con la voce verso il basso. Si prosegue: I don’t remember. Io sto sognando, non è possibile, ditemi che non è vero. Non ci credo. Immagine buffa che mi viene in mente: noi, un’esercito di smemorati incapaci di dare risposte a chi ci interroga, di dare voce a qualcosa che non esiste perchè, semplicemente, non lo ricordiamo. Malintesi, attacchi che partono fuori tempo e No self control all’improvviso si deve fermare. Peter Gabriel ha lo spirito di scherzarci sopra senza tanti giri di parole e si ricomincia. Amo molto il nuovo arrangiamento di questo brano ha una sua eleganza che la riporta molto vicina alla versione originale pur restituendole una sua modernità. E poi ancora Lovetown e riaffiorano i ricordi del primo concerto vissuto, Humdrum – che gioiellino -; steam; mother of violence cantata dalla figlia Melanie – avrei preferito la facesse lui anche abbassata non importa -;Big Time con Levin che giganteggia su tutti, spettacolo nello spettacolo; Not one of us e li veramente c’era da dirlo noi Gabriel-addicted a indicare gli altri e dire: non sei uno di noi. E altro momento trance: Lay your hands. Stendi le mani su di me, per favore. Gabriel che officia il rituale e noi siamo i suoi fedeli adepti. Sembra tutto finito, no, ci sono i bis: Sledgehammer, Soulsbury hill e In your eyes. Si torna a casa con la gioia nel cuore. Grazie mille Mastro Peter, grazie di cuore. Grazie per l’evento che ci hai regalato e per questi 21 anni di pura passione.