She is the dreamer, she’s immagination…

Zooropa è un esperimento, un viaggio all’interno della nostra società a delineare l’uomo moderno con le contraddizioni e le fragilità. E’ una babele di linguaggi visivi e musicali in cui il passato musicale degli U2 non viene dimenticato eppure, talvolta, cede il passaggio a qualcosa di inedito. L’ho sempre trovato il perfetto corollario musicale dei libri di William Gibson e, non a caso, è proprio a quest’ultimo che gli U2 si ispirano per le tematiche. C’è un sapore profondamente europeo sin dall’inizio “Zooropa…vorsprung durch technik”(dal testo della title track) in cui Bono ha una voce quasi irriconoscibile che sembra richiamare Bowie. C’è una costante divisione tra sogno, disagio interiore e realtà. Sembra essere il filo portante del disco. La divisione tra mondo reale e mondo sognato è sempre persistente dallo stesso inizio. “She’s gonna dream up/The world she wants to live in/She’s gonna dream out loud”; si è sempre gli stessi non si cambia, come cantato nella ballata Babyface che ha l’effetto di stupire l’ascoltatore e di portarlo verso uno straniamento tipico dell’uomo odierno. Una serie di norme dettate dalla società dal vivere comune: non muoverti, non parlare se non interpellato, non pensare, non preoccuparti andrà tutto bene, non tentare di dare una tua risposta, non chiedere, non cercare un senso oltre a quello già dato e mi sento insensibile, queste norme non mi appartengono, non sono per me. Per la prima e unica volta Bono Vox cede lo scettro e decide di far cantare The Edge. Il video che accompagna Numb da un’ulteriore intensa sfumatura di profondo disagio interiore a quello già fornito dal testo. In Lemon il frontman degli U2 si divide in due personaggi diversi: il lato oscuro e luciferino simboleggiato dal cantato in falsetto e poi quello più dolce, più pacato verso la fine della canzone in uno dei punti emotivi più alti del disco insieme al brano successivo, “Stay (Far Away So Close)” e “The First Time”. Stay è il ritratto tipico della giornata di chiunque si trovi in una grande città: sin dall’inizio sappiamo cosa vuole ritrarre Bono. A partire dai distributori automatici all’inizio della canzone, un teledipendente che conosce a memoria i programmi preferiti tanto da sincronizzare le labbra con l’audio di quello che sta vedendo, il rumore della città, le onde radio che ti portano ovunque tu voglia: Miami, New Orleans, Londra, Belfast, Berlino (città citata non a caso visto che il pezzo fa parte del film “Così vicino così lontano” di Wim Wenders ambientato, appunto, a Berlino). Ancora una volta il disagio,la mancanza di contatti e di comunicazione: “And if you look, you look through me/And if you talk it’s not to me/And when I touch you, you don’t feel a thing”. C’è una sorta di vuoto di valori, come ritrovarsi con le spalle coperte, ben simboleggiato dal brano successivo “Daddy’s Gonna Pay For Your Crash Car”. Si preannuncia in modo pomposo come se fosse l’inizio di un programma televisivo con un’intro davvero squillante. La velata critica è data dalla musica dalla ritmica secca e metallica in contrapposizione ad una vocalità molto ironica. Puoi fare quello che vuoi tanto c’è qualcuno che paga al posto tuo e i giorni passano senza che te ne rendi conto. Alcuni giorni sono così, altri passano più lentamente. Alcuni sono meglio degli altri…”Some days are better than others” in cui il gruppo improvvisamente ritorna a impersonare se stesso e la musica riecheggia il loro passato. Si arriva al capolavoro assoluto del disco: The First Time. Sembra esserci uno spiraglio di luce nel disagio e nel perenne straniamento dell’uomo moderno rivelato proprio da questa canzone. La soluzione è riscoprire i veri rapporti umani, riscoprire la forza dell’amore in tutti i sensi. Un fratello nel dolore capace di essere presente in ogni momento della tua vita bello o brutto che sia, un uomo capace di rinunciare alla ricchezza che potrebbe ereditare perchè per una volta, la prima volta, si è sentito amato. Metto questo brano alla pari con le opere migliori degli U2, per intenderci non sfigura per niente accanto a brani come One oppure come All I Want Is You. Questo è il Bono che io adoro, capace di cantare con un’intensità e una dolcezza infinita. Dirty Day ha un incedere indolente, parte quasi in sordina, anche il cantato di Bono è sussurrato e poi c’è l’esplosione sia musicale sia vocale verso il finale. E sublime la citazione di Bukowski: “These days, days, days run away like horses over the hill”. Avevo detto che Zooropa ha un lato giocoso e la chiusura perfetta sembra essere “The Wanderer”: un brano country con venature elettroniche, sembra assurdo ma è proprio così, interpretato dalla voce di Johnny Cash. Un suono fastidioso, un allarme alla fine della canzone ci risveglia e ci avverte che il disco sta per finire. Zooropa costituisce un unicum all’interno della discografia della band irlandese: negli anni a venire tutta la giocosità e questo desiderio di sperimentare con la propria musica verrà sempre più sostituita da un più rassicurante, sia per i fan sia per i musicisti stessi, ritorno a strade e stili musicali già ripercorsi. Disco consigliatissimo. Una di quelle poche opere che non sentono per niente il peso del tempo che passa.