Scratch my back parte 2


Recensione redatta da me e apparsa nel sito Il Cibicida.

"Swap Song". Queste sono le parole usate dallo stesso Gabriel per definire il progetto che sta dietro a Scratch My Back. Non un semplice disco di cover ma un vero e proprio baratto musicale. Sono state scelte dieci canzoni, pescando tra le opere di artisti che sono stati sicuramente d’ispirazione per l’autore come David Bowie, Talking Heads, Paul Simon, Randy Newman e altre proposte interessanti fatte da musicisti di più recente generazione come Regina Spektor, Elbow e Radiohead. Ad un patto: questi musicisti dovranno ricambiare il favore cantando a loro volta un pezzo scelto nell’intera discografia di Peter Gabriel. E questo patto è stato accettato da tutti con la sola eccezione di David Bowie, a cui subentrerà Brian Eno. Il disco segue due dictat rigorosissimi. Uno: niente strumentazione elettrica. Niente chitarre, basso, batteria, tastiere. Solamente orchestra. Secondo dictat: l’arrangiamento orchestrale non deve sovrastare la voce di Peter Gabriel. E per questo compito l’autore si affida alla regia occulta di John Metcalfe, ex membro dei Durutti Column e uno degli arrangiatori d’orchestra più gettonati nell’Inghilterra del pop. Il risultato? Non è un semplice disco di cover e non è nemmeno una semplice trascrizione dei brani per archi. Si tratta della personale rivisitazione dei brani in questione, come se fossero stati scritti dallo stesso Gabriel. Riproporre un classico come Heroes è un rischio, è una canzone che tutti conoscono e sono in pochi quelli che hanno cercato di renderla in modo differente dall’originale. E funziona, è efficace. E’ una canzone intima. Restituisce all’ascoltatore l’emozione su cui si basa la canzone stessa. Il criterio della scelta è stato principalmente la connessione emotiva che Peter Gabriel aveva con questi pezzi. E’ evidente in un brano come Mirrorball. Ci restituisce la visione di un uomo innamorato per cui la strada diventa una sala da ballo, la Luna una palla a specchio tipica di certe sale, le sirene della città suonano come violini. Tutto quanto è cambiato grazie alla persona amata. L’arrangiamento rievoca echi dei Sigur Ros più recenti. La voce, si diceva, come assoluta protagonista del disco. A tratti dolce, tenerissima, una carezza nel sussurrare "these are the days of miracle and wonder, don’t cry, baby, don’t cry" in The Boy In The Bubble, diventa appassionata in Flume, The Power Of Your Heart e The Book Of Love; secca precisa ed evocativa in Listening Wind. L’intero brano per arrangiamento e voce evoca nell’ascoltatore l’immagine del vento che soffia e dei segreti che questo porta a chi è capace di ascoltarlo. My Body Is A Cage è il brano migliore di “Scratch My Back”. Sembra essere un gioco, un inseguimento tra arrangiamento orchestrale e abilità vocale dello stesso Gabriel. Diventa intensa e drammatica a metà brano, con la voce che tocca corde talmente basse, inedite per il cantante sin dai tempi del suo primo disco. Il brano rallenta e la voce si rompe e diventa toccante, commovente: "Set my spirit free. Set my body free. Free". Apres Moi viene annunciata dall’altisonante squillare dei fiati, rivelatori di quanto accadrà poco dopo. Non bisogna farsi ingannare dall’apparente quiete con cui Peter Gabriel affronta inizialmente il brano perchè rivelerà ben presto all’ascoltatore un’anima profondamente drammatica. Potevamo sentire Philadelphia di Neil Young chiudere le immagini dell’omonimo film, un triste saluto al protagonista, una storia impossibile da raccontare diversamente. E Peter Gabriel ha tenuto fede allo spirito che permeava la canzone originale. E’ rimasto vivo il senso del commiato, di un addio difficile anche solo da pronunciare. Street Spirit (Fade Out) è un brano difficile da affrontare. Se viene paragonato all’originale ne esce sconfitto. Forse per trovare il senso di una cover minimale come questa bisogna ripulirsi le orecchie dall’originale e concentrarsi solo su ciò che si sta sentendo. Tutto, allora, assume una sua logica e ha una sua particolare bellezza. “Scratch My Back” è un disco di non facile fruizione e comprensione. A livello interpretativo offre lo spaccato di una delle voci più interessanti del pianeta musicale in attesa, finalmente, di risentirlo alle prese con materiale inedito.<br />
P.S. E’ stata una passione scriverla. Non volevo sembrare la classica fan che decanta le lodi del suo beniamino. Visto che gioco in casa qui dentro vi dico quello che non ho scritto nella recensione. Peter Gabriel ha la voce più bella del pianeta musicale. Punto. Proprio così non ce n’è. E devo rendergli merito del fatto che ha preso un pezzo di un gruppo che detesto e che mi sono guardata bene dal nominare, ossia gli Arcade Fire – che reputo tutto tranne che interessanti -, e ne ha reso un pezzo vocalmente FAVOLOSO. Mi fa venire i brividi, mi spezza il cuore per quanto è bello.

3 Risposte a “Scratch my back parte 2”

  1. Aspetta e spera per gli inediti. Io non sono riuscito ad arrivare alla metà…due palle!!! Del resto a 60 anni potrebbe anche chiedere il prepensionamento  ;-))

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