Receive and trasmit…


Ci sono voci che sono fissate dentro voi. Le risentite e pensate: "casa". Sapete bene qual’è la voce che per me più di tutte mi fa pensare a questa parola. Lo seguo da più di vent’anni e ogni volta è come se fosse la prima. Il disco che vedere in copertina si chiama Up ed è prodotto da Gabriel stesso e da Tchad Blake mago della registrazione del suono binaurale. Si capisce già da subito che questo disco è una creatura strana, viva. E’ un disco che riflette sull’uomo, un concept sulla vita e sulla morte sia in prima persona, sia in terza person. Capirete successivamente cosa intendo dire. Abbiate pazienza perchè sarà un post lungo ma è proprio impossibile dire meno su questo disco.<br />
Darkness si apre con un suono lieve ed subito dopo esplode. E’ una canzone sulla paura. Sulle paure che ci impediscono di vivere, le paure che ci accompagnano tutti i giorni sin da quando aprimo gli occhi fino al sonno.  Siamo spaventati da quello che conosciamo ma alla fine, se le affrontiamo., se le guardiamo in faccia…"and the monster I was so afraid of/ lies curled up on the floor just like a baby boy".  Questa canzone mostra i due lati di Peter Gabriel: quello luciferino, quello più oscuro e cattivo e quello più dolce, suadente. Un saliscendi musicale. Occhio che il mostro è dietro l’angolo e ride… Nell’apertura di Growing up c’è una descrizione molto vivida della nascita. Siamo al mondo. Crescere e cercare un posto dove vivere nel mondo. Il pezzo è entusiasmante e energico, fa ballare persino i più piantati, e sembra quasi seguire il ritmo del cuore, un ritmo vitale per ognuno di noi. L’altra caratteristica di questo disco è la stratificazione dei suoni, una stratificazione finalmente al servizio dei vari brani. Non bastano due orecchie per sentirlo e ogni volta, ad ogni ascolto esce fuori qualcosa, qualcosa di diverso. Sky Blue è una delle tre perle di quest’opera. Questo pezzo è la viva dimostrazione del genio e della creatività di Peter Gabriel. E’ costruito come se fosse un blues dal sapore antico impreziosito dai cori dei Blind Boys of Alabama. E’ un moto del cuore, è anima. E’ la passione fatta musica. La seconda perla è No way out. Chi saprebbe fondere così felicemente ritmica dall’incedere jazz, pur non perdendo di vista la tradizionale forma canzone, con alcuni tratti tipici del pop e con una tematica così forte e potente come quella della  morte senza risultare stucchevoli o eccessivamente retorici? Succede qualcosa, un incidente e il primo pensiero "Oh God let it not be you" Dio fa che non sia tu. Le immagini qui usate sono composte e delicate "The colour in your shirt is darkening, Against the paleness of your skin. I remember how you held the goldfish, Swimming around in a plastic bag" C’è l’evento reale e il ricordo familiare… Improvvisamente si apre, esplode letteralmente in un grido. Il finale lascia all’immaginazione dell’ascoltatore cos’è accaduto.  La musica si ferma e si riprende, li tempo e si riprende… è stato solo un’ora fa. Era tutto così diverso.  E sembra che nulla sia cambiato, che tutto sia rimasto come prima. Ora non c’è più nessuno a casa. Ho trovato pochi artisti capaci di ritrarre il tema del lutto in maniera così delicata. I grieve. Sono in lutto. Il pezzo si apre con un incedere lento, mesto, in punta di piedi, per poi trovare la strada verso un ritmo più forte, più veloce. La vita scorre ma è detto con astio, con odio. Io sono in lutto e il resto continua come se niente fosse. The Barry William Show ha avuto il potere di dividere i fan. C’è chi la ama e chi invece non la apprezza molto. Personalmente vedo in questa canzone un trait d’union con i villain di cui ha cantato sia con i Genesis che nella carriera da solista. Barry William nella fantasia di Peter Gabriel è il conduttore di uno di quei programmi in cui la gente espone al pubblico ludibrio la propria grettezza e squallore. Più efferati sono i racconti e più si fa audience. Devo constatare che è rimasta ancora oggi di devastante attualità. L’incedere del pezzo è costruito come una sorta di marcetta tipica dei circhi. Forse non è casuale, visto che in un certo senso è di questo che si parla. Però qui le peggiori bestie sono gli esseri umani. Alla fine però l’uomo non è un isola e Barry William verrà sommerso dalla grettezza umana, annegherà  e non ce la farà più ad andare avanti…
Un ticchettio di orologio in sottofondo che annuncia l’attacco di My head sounds like that. E’ un pezzo dall’andamento ondivago e sbilenco. Sembra richiamare alla mente certe sonorità tipiche beatlesiane.  Il metallo della chiave che apre la porta si fa sentire e il suono dei piedi che raschiano sul tappeto. L’olio nell’insalatiera, il gatto che esce… tutti questi rumori vengono amplificati a dismisura quando si è preda di un violentissimo attacco di mal di testa. Nella mia testa questi suoni rimbombano.  In questi momenti persino i pensieri diventano dolorosi. C’è una frase nella canzone che mi fa leggere in un altra chiave il quartetto No way/Grieve/Barry William/My head: i momenti vanno e vengono come l’acqua. Provo ad afferrarli ma mi sgusciano via. La mia teoria: Gabriel sta riflettendo sulla vita e sulla morte e questi pezzi non sono che delle chiavi di rielaborazione. C’è il fatto "No way out", il lutto. Barry e My head non sono altro che il dopo. Subito dopo la morte di una persona cara c’è come una specie di circo in cui rivedi gente, di cui normalmente non ti importerebbe molto, venire da te e farti le condoglianze. My head invece è il fatto privato. Finito il circo, lasciato finalmente solo a te stesso e al tuo dolore, c’è la totale confusione dentro. E ti rendi conto che è tutto effimero, che tutto può svanire da un momento all’altro. More than this è un pezzo dall’incedere pesante, dalla ritmica in progressione. Dal vivo ha procurato non pochi problemi all’autore. Ancora si riflette sulla vita e sulla morte e si pensa: "ci deve essere qualcosa di più di questo." Qui viene preannunciata la preoccupazione dell’autore di lasciare un segno duraturo nella vita delle persone. Viene pian piano introdotto il tema portante di Signal to noise. E’ il personale tributo che Peter Gabriel offre alla memoria di Nusrat Fateh Ali Khan, cantore qwali scomparso ahinoi nel 1997. Ma anche il proprio testamento artistico. Il compito di ognuno di noi è di riuscire a pulire il suono della nostra vita tanto da rompere il rumore derivato dalla morte. You know that’s it. Receive and trasmit. Non bisogna essere artisti per questo. Dobbiamo solo essere aperti. Lasceremo inevitabilmente il nostro segno. E’ quello il nostro scopo. Musicalmente è immensa. Non la posso descrivere. Bisogna solo ascoltarla. Ve la regalo con questo post. E si arriva a The drop. Brano costruito solo da voce e piano. La voce di Gabriel qui è a tratti triste, a tratti mesmerica, a tratti dolcissima. Ci saluta e prosegue per il suo viaggio. Sono passati la bellezza di sei anni da quando questo disco è stato concepito e messo in vendita ma non ha assolutamente risentito del passare del tempo.
Peter, quando vuoi, noi siamo qui. Pronti a ricevere e trasmettere…

Pubblicato da krishel

Appassionata di musica, cinema, letteratura, scrivo solo per passione quello che mi passa per la testa.

7 Risposte a “Receive and trasmit…”

  1. Grazie per averci permesso di conoscere tutto questo e di leggere un post così pieno di passione..

    Volevo anche chiederti come stai: come va ora l’intestino?

  2. ciao ANIMA adoro (e quando mai il contrario) anche questo album e feci questa recensione …. bacio TVB

    Peter Gabriel: Up

    La nascita “I”, la crescita “II”, l’affermazione “III”, la transizione “IV”, la polarizzazione multilaterale “Birdy-Passion-Long Walk Home”, l’intensità espressiva soggettiva “Plays Live-Secret World Live”, l’evoluzione “So”, la navigazione di “Us” per confluire in “Ovo” e completare un ciclo vitale in “Up”.

    Uomo onnivoro che non conosce la perpetua routine e assiduo anticonformista, sperimenta per elevarsi e distinguersi. Questo Album fu volutamente fatto uscire il 21 settembre, ultimo plenilunio d’estate, dove c’è il silenzio, nella notte cupa di uno sconfinato universo sopra le nostre terre e dove c’è rumore e umidità, nelle sconfinate terre sotto in nostri piedi, luna e acqua costituiscono due elementi fondamentali per Gabriel, infatti crea la Real World in un bosco aperto alla visione stellare e appresso a un fiumiciattolo da favola, ed essendo un grande sostenitore del rapporto tra suono e materia, applica le sperimentazioni tecnologiche che portano alla realizzazione di nuovi suoni, ne fa uso già in partenza nella creazione della copertina dove il suo viso ingrandito e sfuocato si riflette in un primo piano di piccole gocce d’acqua che cadono e vanno a posarsi sul suo palmo in modo delicato e materno, ebbene queste gocce sono state create dalla fuoriuscita di acqua corrente da un piccolo tubo che, applicato ad un amplificatore, fa sì che l’onda sonora trasforma l’acqua che scorre nel tubo, in piccole gocce singole e questa scomposizione di flusso continuo, Gabriel lo associa al nostro percorso vitale.

    “Darkness” l’apertura è imponente e comunicativa come un battito cardiaco di una vita in arrivo accompagnata da intervalli silenziosi e pensierosi e all’improvviso lo strillo traumatico per il passaggio dal grembo materno all’impatto con l’esterno e la fine della traccia dove il battito si affievolisce fino a morire, una massima di vita, un percorso interrogativo tra la natività e la mortalità – “Growing Up” violoncello ed elettronica e le prime paure, l’angoscia di non saper crescere e convivere con il mondo esterno, esplorazione dell’individualità, mutazione genetica, stazionamento di equilibrio per l’antinomia – “Sky Blue” pomposo e vellutato, il cielo blu, aggraziato da gospel dei Blind Boys Of Alabama che rincorrono voce e chitarra (rielaborata nel soundtrack di “Rabbit-Proof Fence”) – “No Way Out” maturo, intenso e malinconico dove la Signora Morte incide dolore irreversibile e viene accompagnata da organo, piano e voce, imploranti – “I Grieve” traccia che mette in evidenza ancora la sofferenza per la perdita di una persona amata e la capacità di lottare per aiutare se stessi a poter continuare a superare e vivere anche nel dolore intrinseco (scheletricamente presente nel soundtrack di “City Of Angels”) – “The Barry Williams Show” intervallo di banalità quotidiana fra frastuoni e consumismo cinico più totale, tutto in ambito elettronico – “My Head Sounds Like That” pianoforte e percussioni melodiche spezzate da intrusioni “heavy” e concluso in fluttuabilità, ancora alla ricerca di se stesso attraverso il suono – “More Than This” adorabile nonché inarrivabile traccia, un percorso introspettivo, analitico, un gioco a susseguirsi tra voci pianoforte e chitarra… molto, molto di più di questo c’è, esiste qualcos’altro, quando tutto ciò che avevi, non c’è più… – “Signal To Noise” un pensiero per la mortalità e la compassione umana, la straordinaria voce dello scomparso Nusrat Fateh Ali Khan, il crescendo degli archi e l’esplosione sonora all’unisono, la rendono unica – “The Drop” rapporto stretto tra pianoforte e voce e… quante volte ci è capitato d’incantarci a guardare in cielo quelle montagne di panna montata che si trasformano in figure bizzarre? Ma poi che cosa c’è oltre le nuvole bianche…

    E qualcuno ha detto il giusto, cioè che la musica è troppo necessaria per Gabriel (come per molti di noi), per essere trattata come una qualunque semenza transgenica, giova ed è gaudio eterno che plasma l’anima, mentre ci si accinge quotidianamente a combatte la paura che rende interessante la dimensione umana, ogni volta che l’affronti e la superi, sprigioni una grande quantità di energia atomica.

  3. Splendida revisione, davvero. Un solo appunto, erano i BLIND Boys of Alabama.

    E ora lascio che tante drops fuoriescano dai miei occhi, chissà per quanto tempo ancora…

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