Let me in the sun

In attesa che si sblocchi splinder ho imbastito la recensione nel mio indirizzo di blogspot che non uso mai. Incomincio a essere stufa. Penso che potrebbe essere l’occasione per me di ripartire da zero da un’altra parte. Ma torniamo al disco. Let me in the sun, let in the sun, lasciami nella luce così posso vedere meglio quello che succede. E’ un mantra che ricorre in tutto il disco sia nella musica sia nel testo. Finalmente sono tornati gli U2 che amavo. Per intenderci quelli capaci di giocare con la musica e con se stessi. Evocativi, gioiosi, pieni d’anima e di speranza. Ma anche consapevoli della realtà in cui vivono. Sono tanti gli episodi felicissimi di questo disco. E vi parlerò solo di questi perchè una recensione brano per brano non avrebbe molto senso. Moment of surrender stupisce per l’intro in cui sembra esserci un doppio ritmo. Alla fine poi si scoprirà che ce n’è solo uno. Bono canta come sa davvero fare. Una delle caratteristiche più presenti in questo disco sono le parti corali che arricchiscono e danno profondità al testo e al brano stesso. Il singolo Get on Your boots è esplosivo. Dal vivo farà venire giù lo stadio. Viene proprio voglia di muovere il culo. Ma la cosa più bella di questa canzone è il ritornello: “You don’t know how beautiful you are…” Già. Nessuno di noi lo sa veramente. Fez-Being Born è forse il brano più strano del disco. Nell’introduzione si sente il mantra di cui vi parlavo prima “let in the sun”. Si apre con una tessitura sonora che richiama alla mente certe cose di Peter Gabriel o dei Depeche Mode più notturni. Sei in punto, sull’autostrada alla fine il sole africano. La luce che richiama il passato. Una mente che va avanti e indietro nel tempo veloce. Sono nato, prima la testa e poi i piedi e il cuore può spiccare il volo… e quella parte corale ancora a richiamare la parte più profonda, la parte animica. Quella che spesso mettiamo in disparte presi come siamo nella corsa contro il tempo. White as snow è maledettamente notturna e invernale. Il sole africano citato poco prima è un lontano ricordo. Qui siamo in Irlanda. L’atmosfera, il cantato, l’incedere mesto richiamano lontani ricordi della terra d’origine della band che, evidentemente, hanno lasciato involontariamente il segno. Qui Bono ha una forza evocativa pari a quella mostrata nel passato. Non mi stupirei affatto se prima o poi diventasse un classico. E poi… si chiude il cerchio, il sole tramonta e quello che possiamo fare è ammirare spettacoli come quelli descritti in Cedars of Lebanon. Il brano più bello in assoluto dell’intero disco. Bono mi ha letteralmente stregato in questo pezzo. Ha lasciato la sua impronta trasformandosi in osservatore imparziale eppure non meno vivido, profondo. Il disco è alle sue ultime note, il viaggio sta per concludersi.<br /> I’m here ‘cos I don’t wanna go home…

Pubblicato da krishel

Appassionata di musica, cinema, letteratura, scrivo solo per passione quello che mi passa per la testa.

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