La possibilità di un isola.

La narrazione è divisa a metà. Da una parte abbiamo la vita di un “buffone”, come il protagonista stesso si definisce, di nome Daniel che di mestiere fa il comico iconoclasta. E’ quel tipo di comici che mettono alla berlina qualsiasi lato umano che possa essere deriso. E’ un uomo cinico, disilluso sull’umanità in genere che tratta con indifferenza chiunque. Lo si potrebbe definire un misantropo che però riesce a stare tra la gente, se non altro perché dove troverebbe il materiale per i suoi spettacoli, altrimenti? In campo “sentimentale” non è diverso. Le donne in questo romanzo ne escono male, ed è un eufemismo. Daniel le tratta come meri oggetti sessuali, carne capace di dargli piacere e poco più. Non arriva Isabelle, redattrice di una rivista scandalistica per ragazzine e non solo, né il suo declino, la sua disperazione di donna a confronto con la vecchiaia e con un uomo profondamente incapace di amoare. Non arriva Esther, ragazza fatua, incapace anche lei di amare ma di una disponibilità sessuale apertissima di cui Daniel, nonostante tutti i suoi tentativi di negare l’esistenza dell’amore, se ne innamora. La seconda parte del libro, che viaggia in parallelo con la prima è ambientata in un futuro lontano in cui una versione clone di Daniel sta leggendo le memorie del suo predecessore originario. La Terra futura è stata devastata da guerre nucleari, cambi climati e altro ancora che l’autore non si è curato di descrivere. Gli esseri umani si dividono in selvaggi – esseri umani tornati all’età della caverna dediti alla violenza – e neoumani, i cloni appunto, che accettano la morte come un processo di passaggio perché consapevoli che al loro posto ci sarà un altro identico nella forma e nella memoria, grazie a un processo di conservazione della memoria genetica. Il resto del libro è la sterile, dal mio punto di vista, disamina e elucubrazione di quanto fondamentalmente gli esseri umani siano miserandi, di quanto i sentimenti e i cosiddetti valori siano sopravvalutati. Inoltre vuole anche essere una presa in giro del movimento raeliano (cliccate sul link se volete saperne di più). E’ chiaro soprattutto per l’uso del nome Elohim, mi meraviglia che non gli abbiano fatto causa. Il finale è la degna chiusura di un’opera che non lascia nulla al lettore se non una profonda noia e amarezza. Ancora mi chiedo perché ci ho perso tempo a leggerlo. Evitatelo come la peste.