I can no longer call myself


Si ringrazia semaone per la splendida immagine.

Ho diverse sensazioni nel cuore e non so come fare per farvele arrivare. L’acustica allo Stadio Meazza faceva veramente schifo ma questo non ha impedito ai Depeche Mode di fare il loro spettacolo e di farci arrivare la loro energia. Dicevo sono tante le sensazioni che mi porto nel cuore. Ho urlato a squarciagola Peace, la mia canzone dell’anno, e li sopra vedete uno scatto tratto proprio da quel momento. Mi sono sentita liberata da un peso enorme. Ho ripercorso la mia storia legata a questo gruppo. Vado a caso non seguo la setlist, vi dico quello che mi ha colpito di più. Il mio cuore ha cominciato a incrinarsi con Walking in My shoes soprattutto quando Dave Gahan ha deciso di farci cantare il ritornello. Inciamperai nelle mie impronte, prenderai gli stessi impegni che ho preso io se solo tu volessi metterti nei miei panni. Prima di puntare il dito, di arrivare alle tue conclusioni, mettiti nei miei panni. E non lo facciamo mai.  Unica superstite di Playing the angel è Precious.  Dietro le spalle le immagini proiettano un’idea macchina da scrivere che trascrive una bellissima poesia di Hafiz, poeta sufi tradotta da Daniel Lazinsky che potete trovare qui. La trovo particolarmente significativa, un punto di vista interessante soprattutto  considerando la storia di questo gruppo e del cantante. Micidiale il binomio Little soul/Home. Ho pianto calde lacrime di commozione e meraviglia. Martin Gore in veste di cantante era contemporaneamente immenso e talmente piccolo da volerlo proteggere. Caldo, caldissime, torride sia In your room sia I feel you. Non mi inoltro in particolari che siamo ancora per poco in fascia protetta.   Ho provato una sensazione molto intensa e particolare su Master and servants come se si stesse chiudendo un cerchio. Ho finalmente sentito dal vivo il pezzo con cui li ho conosciuti. Essere li, poter partecipare al gioco con Dave Gahan che, ve lo posso dire, non portava per niente i segni di quello che ha avuto da tanto saltava, ballava, cantava e altro molto ancora, era come se stessi facendo i conti con un pezzo della mia storia personale. Sono tornata per un’istante la Simona adolescente che ho dimenticato, ho perso da qualche parte. Un’altra bella sensazione di profonda pace interiore l’ho avuta su Never let me down again soprattutto quando verso la fine del pezzo tutto il pubblico ha cominciato a ondeggiare le braccia come se fossero delle spighe di grano mosse dal vento. Così le ha definite lo stesso Dave Gahan in una intervista diverso tempo fa. Ti riconcilia con tutto, con te stesso, con il mondo, con l’universo. E quando si arriva alla fine a una toccante e splendida Waiting for the night cantata in coppia da Martin Gore e Dave Gahan arriva il sorriso sulle labbra e ti porti dentro la sensazione di aver vissuto qualcosa di speciale. Grazie mille Andy, Martin, Dave. Grazie di cuore.

Pubblicato da krishel

Appassionata di musica, cinema, letteratura, scrivo solo per passione quello che mi passa per la testa.

12 Risposte a “I can no longer call myself”

  1. Anonimo/a mi piacerebbe sapere il tuo nome. Io sarò a Bologna perchè Torino non è stato possibile. Che dire… non c’è bisogno di aggiungere altro.

  2. C’ero anch’io a Milano. Non mi sembrava vero. Loro erano lì. La mia band preferita da sempre. Emozioni difficili da descrivere. Credevo di star male. Anch’io ho cantato e urlato per tutto il concerto. Ho già i biglietti per la data di Bologna. Un altro sogno che si avvera.

  3. mi hanno detto che è stato davvero un bel live..molto intenso. lui in formissima.
    son contenta tu abbia provato delle belle sensazioni..quelle che si provano durante i concerti sono eterne

  4. I
    Have
    Learned
    So much from God
    That I can no longer
    Call
    Myself

    A Christian, a Hindu, a Muslim,
    A Buddhist, a Jew.

    The Truth has shared so much of Itself
    With me

    That I can no longer call myself
    A man, a woman, an angel,
    Or even pure
    Soul.

    Love has
    Befriended Hafiz so completely
    It has turned to ash
    And freed
    Me

    Of every concept and image
    My mind has ever known.

  5. Uomo del Giappone: ci sarò anche io a Torino. Secondo te potevo mancare ad una occasione così ghiotta? No. Non dopo tutto quello che ho provato a Milano.

  6. Anche Master and Servant é una delle mie preferite di sempre, del loro periodo ottantiano, quella sera si é realizzato il mio piccolo sogno di sentirla a un loro concerto.
    Felice di leggere questa come un’esperienza liberatoria.
    E’ passata quasi una settimana ma anche per me é stato indimenticabile, mi sembra di essere uno di quei reduci di Costa Crociere…ora non posso non andare anche a Torino a vederli.

    L’uomo del Giappone

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.