Finalmente ho visto LA mostra. Dire che sono moderatamente felice è dire poco. Ho anche visto dei suoi dipinti che non conoscevo. Ma, un’attimo, torniamo indietro e raccontiamo tutto con calma. Ieri mattina Davide mi viene a prendere a casa e ci mettiamo in viaggio per Como. Il viaggio trascorre sereno, e senza che io mi addormento in macchina come faccio di solito. Arriviamo verso l’albergo e già i primi problemi: strada piccola e infame. Come ci racconterà il gestore dell’albergo da poco avevano fatto dei lavori per rimodernare la rete del gas ed erano stati costretti a rompere la strada senza, ovviamente, ripristinarla. La mia povera schiena ha subito dei contraccolpi mica da ridere. Poco dopo arriviamo e il posto è a dir poco fantastico. Immerso nella natura più rigogliosa. Subito veniamo accolti, oltre dai gestori, da un simpatico boxer e un delizioso gatto bianco con delle striature nere. Decidiamo che per quella giornata possiamo prendere la funicolare e girarci tranquillamente la città. Devo fare i miei più sentiti complimenti all’aministrazione locale. Ho trovato una città bella, ripulita, piena di attività e molto accogliente. Cena deliziosa in albergo: la cosa migliore l’entrecote. Un pezzo di carne fatta alla brace come la Dea comanda. Roba che qui a Genova ce la sognamo di notte. E le mie orecchie percepiscono da lontano le paroline magiche: “festa celtica”. Ma di questo vi parlerò solo se riuscirò ad esserci. Personalmente ho dormito  benissimo al contrario di Davide che non è abituato alle delizie di un letto con la rete a doghe. Ho avuto occasione anche di fare uno dei miei sogni assurdi, forse ve ne parlerò, forse no. Risveglio dolcissimo stamattina e colazione con vari succhi di frutta (io li adoro ne berrei a litri), e via per la mostra! Dal 25 marzo al 16 luglio 2006, infatti, nelle sale della settecentesca Villa Olmo si tiene la mostra <<RENE’ MAGRITTE. L’impero delle luci>>, organizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Como in collaborazione con la Fondation Magritte di Bruxelles e i Muse’es Royaux des Beaux Arts del Belgio, con il contributo di Poste Italiane, Vodafone, Bayer, Fondazione Corriere della Sera. La rassegna, curata da Michel Draguet, direttore generale dei Muse’es Royaux des Beaux Arts del Belgio, e Maria Lluisa Borra’s, raccoglie sessanta dipinti a olio e venti tra disegni e lettere illustrate realizzati dal genio surrealista tra il 1925 e il 1967, quaranta dei quali provenienti dai Muse’es Royaux des Beaux Arts del Belgio, che conservano la collezione pubblica piu’ importante al mondo di opere di Magritte, e che saranno visibili in Italia per l’ultima volta, prima della loro definitiva collocazione nel Museo Magritte di Bruxelles, nell’aprile 2007.  Secondo Charly Herscovici, Presidente della Fondation Rene’ Magritte, la mostra di Villa Olmo rappresenta “un evento nella storia delle esposizioni surrealiste in Italia”. L’esposizione, che presenta alcune delle opere piu’ conosciute del maestro belga, come L’impero delle Luci, La buona fede o La fata ignorante, muove i propri passi dall’asserto magrittiano, secondo cui “La pittura e’ soltanto un mezzo che mi permette di portare alla luce un pensiero grazie all’utilizzo di elementi presi al mondo visibile”.<br />
Magritte, infatti, riteneva, come Leonardo, che la pittura fosse una ‘cosa mentale’, una proposta di riflessione o un’idea che deve prendere forma attraverso di essa, mantenendosi entro i limiti della riproduzione del mondo visibile. Cio’ che rende diversa la sua pittura e’ la rappresentazione circoscritta ad ambienti quotidiani, riprodotti con la massima fedelta’, con lo scopo di provocare una riflessione che metta in discussione cio’ che si da’ per scontato. Inoltre pretende, in questo modo, di rendere visibile la poesia e di trasformare il mondo comune in un universo poetico. Nella sua iconografia, seppur molto varia ed ampia, e’ facile riscontrare tali “cose visibili”: i nuvolosi cieli del nord – che fecero coniare a Max Ernst il motto “Fa un tempo Magritte” – il mare e l’aperta campagna; gli alberi e il bosco, i notturni, i sobborghi; un certo stereotipo di borghesia dell’epoca,

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