Don't you know who you are?


Faccio gemellaggio di titolo con la Haunted Krishel per parlarvi di un disco che mi è arrivato emotivamente due anni dopo la sua uscita nei mercati discografici. Non mi chiedo neanche il perchè. Sono semplicemente contenta di ciò perchè è come se fossero usciti due album, invece di uno, quest’anno. Per me una goduria massima. Questo disco arriva cinque anni dopo il suo predecessore "The Fragile" e devo essere sincera all’inizio non mi è mai arrivato. Ho provato molte volte ad ascoltarlo perchè mi sembrava un sacrilegio ma non c’era nulla da fare. Dovevo cambiare io dall’interno e la magia di una Only eseguita dal vivo a Bologna mi ha fatto capire che era il momento. E’ un disco pieno di resoconti. Mr. Selfdestruct sta risalendo faticosamente la china cercando di ripulirsi da un passato pieno di ferite, graffi, depressione e droga. Ne esce fuori un disco che alcuni, quelli che ancora non hanno capito, definirebbero di transizione. Con il senno di poi e avendo alle orecchie ancora i suoni di Year Zero posso dire che è il dovuto percorso artistico: in With Teeth ci sono i germi e le sonorità che poi esploderanno più in avanti. Parte All the love in the world e c’è qualcosa che non mi torna. La musica va in una direzione la solita, quella disturbata, mentre nel testo si parla d’amore. E’ quella la soluzione contro le tenebre? Andiamo avanti e arriva You know what you are una canzone dai suoni pesanti, accelerati, corposi che ti fa venire voglia di di fare headbanging e di prendere la prima cosa che ti capita sotto mano e spaccarla. Spacca tutto. Tu non sai che cosa sei, non sai che cosa cazzo sei. Odio, fiele allo stato puro distillato accellerato. Anche la voce è aggressiva, tagliente, urlata. Non puoi cambiare niente di quello che sei. Bastardo sei e bastardo rimarrai. Ora spaccherò la faccia al primo che mi dice che The hands that feed è brutta. Non lo è. Ha una ritmica che farebbe ballare pure la persona più piantata dall’universo e dal vivo spacca da morire. Infatti mentre la sento mi sto esibendo nella danza della scrivania (un giorno ve ne parlerò). E il coro finale è assolutamente imperdibile: Combatterai la mano che ti nutre anche quando sarai in ginocchio? Sembra un’ideale domanda in riferimento a "I’d rather die but give you control…" e parte una disamina lucida e disillusa sull’amore: "Love is not enough" A volte  le cose non vanno come si è programmato e l’amore non basta per tenere le cose in piedi. Questa canzone ha un incedere sinuoso, molto accattivante. La novità di questo disco è che il suono è molto presente, molto corposo. Le percussioni sono molto secche, squadrate, le chitarre presenti e graffianti. C’è molta più strumentazione convenzionale rispetto al passato. Come ha detto un mio amico: "è l’anima rock di Reznor che prende il sopravvento sull’industrial"(vero Gekko?). L’amore non è abbastanza e le giornate passano tutte allo stesso modo. "Everyday is exactly the same" è l’alienazione fatta persona. Ogni giorno passa nello stesso modo e non puoi farci nulla. Pensi di essere felice con i giorni tutti uguali ma alla fine sai che la tua anima ci morirà e non sai cosa fare per rimediare…il brano si chiudo con note che riportano alla mente il finale di Closer. Da studio Only non rende assolutamente come dal vivo. Quel "there is no fucking you there is only me" in concerto è un urlo, un pugno allo stomaco da dedicare a tutti quelli che ci hanno ferito e che ci stanno ancora ferendo nel profondo. "Sunspot" è calore liquido che scorre nelle vene e si impossessa della tua anima e della tua carne. Caldo, fa molto caldo qui dentro…ho bisogno di una doccia fredda. Arriva con il suono greve e pesante di The line begins to blur ma si prosegue e arriva uno di quei brani che, quando lo senti, l’ambiente dove ti trovi si dissolve. Siete solo tu e la musica: "Beside you in time." E’ una botta emotiva clamorosa, tutto si dissolve, lo scorrere del tempo. Tutto passa e tu sei un semplice spettatore. Eppure senti le tempie pulsare forte. E’ una chiamata: Trent Reznor moderno e diabolico pifferaio magico sta delicatamente, subdolamente richiamando all’appello tutti i suoi adepti. E come rimanere insensibili? Right Where It Belongs, il brano che chiude il disco, parte con incedere decisamente scanzonato. All’interno della canzone c’è una parte pubblico festante registrato dal vivo e mi viene in mente che questa canzone descrive esattamente tutto il mondo che gravita i concerti. C’è l’attesa spasmodica per l’evento, la festa, il fatto di sentirsi al posto giusto al momento giusto, feedback tra pubblico e autore, la tensione da parte sua per rendere al meglio la sua opera. E quella lieve tristezza che arriva inevitabile quando tutto finisce. Un cerchio si è chiuso, ora tutto è al proprio posto.  Questo gruppo ha preso una parte importante nella mia anima. Trent Reznor con questo disco, e poi con quello successivo, ha dimostrato ancora una volta di essere un’artista con la A maiuscola capace di mettersi totalmente in gioco. Fedele soltanto a se stesso e a Dea Musica.

Pubblicato da krishel

Appassionata di musica, cinema, letteratura, scrivo solo per passione quello che mi passa per la testa.

6 Risposte a “Don't you know who you are?”

  1. Reznor è cambiato in questi anni eppure la cosa che sapeva e sa fare meglio non è cambiata.Lui sa prenderti l’anima e fartela a fettine. E’ cambiato il modus operandi ma non il risultato finale. Ed era quello che non avevo capito nei due anni in cui rifiutavo With Teeth. Dovevo cambiare io. Sono cambiata e tutto è tornato a posto. Sulle votazioni…

    non do mai voti ai dischi se posso. Non ci riesco, non è nelle mie corde. Ai numeri preferisco le parole…

  2. Ci sono vari modi di vedere la musica. C’è chi la vede come un minuzioso dissezionamento di quanto più materiale possibile, una continua ricerca di metri di giudizio e di valutazione, un bisogno di ascoltarla per “imporsi” su essa, per poterla incasellare in sterili giudizi simil-obbiettivi o in scarni e francamente irritanti “voti” o “stellette”. Ma mai come in presenza delle grandi “cose” questa pratica mostra tutta la sua sterilità: come potrei dare un giudizio “oggettivo” ad un album in cui c’è Right where it belongs, una canzone talmente potente da scuotere le fondamenta su cui poggiano tutti gli album realizzati negli ultimi 3 anni, talmente grande da non potere essere descritta da alcuna parola o espressa in qualsivoglia tipo di valutazione numerica.

    A chi mi dice “Non sono i NIN che ho conosciuto e amato 15 anni fa. Sono brutti, finti, non azzannano” posso solo rispondere: “Mi sa che i NIN – ovvero Trent Reznor – è cambiato, non è lo stesso di 15 anni fa. Mentre sei tu che non sei cambiato, sei tu che cerchi i NIN che non ci sono più”.

  3. Hai scritto ciò che avrei voluto battere a macchina io all’inizio di quest’anno.

    E’ il disco di Trent cui si capisce finalmente che il livello emotivo FOTTE il livello artistico. Vale per tutti i dischi del mondo questo discorso, però un punto di partenza ci deve essere, per forza, per capirlo. Bisogna saper intendere cosa significa graffiare dall’interno, cosa significa lanciare urli che per molto tempo non potevano che essere repressi, cosa significa far accrescere dentro di sè un certo livello di rabbia che poi in seguito è inevitabile che si tramuti in Luce (right were it belongs). Io mi sono scostato dal considerare un disco oltre che emotivamente pure artisticamente: quest’ultima considerazione l’ho proprio eliminata, perchè sono musicalmente un egoista.

    Luca

  4. Bella recensione davvero. Mi hai fatto ricordare di questo disco che ho abbandonato da tanto tempo.. Eppure all’inizio mi era piaciuto tanto, solo che ora non ricordo quasi il perchè. Devo riprenderlo..

  5. Sono uno dei pochi cui è sempre piaciuto fin dall’uscita, ma sono anche tanto fan per essere un onesto giudice dei NIN.

    Ottima rece, cmq.

  6. Non puoi impunemente spaccare la faccia a chi non piace “Di en’ det fiz” e ti spiego perchè: tu ora difendi questo disco perchè ha assunto un significato: ora ti parla, prima non ti parlava. In generale ti rifai prima di tutto ai significati, non condivido pienamente ma è giusto così se vivi la musica in modo al 95,9% emotivo. Ora considera che a me sto disco piace però per metà resterà soltanto un sottofondo da intrattenimento (a parte The Collector che mi fa abbastanza schifo), mentre per l’altra metà mi viaggia su livelli altissimi sin dall’uscita. Questo perchè in quella malnata metà non mi parla, non mi dice niente, non mi prende emotivamente neanche con le mazzate. E dunque, se un disco è “bruttino” nella misura in cui scorre senza lasciarti niente, anche gli altri hanno diritto di mettersi il cappellino con una scritta bordeaux “Di en’ det fiz è truzza”.

    Sì, lo so che la tua era una battuta. Però tu sai leggere tra le righe.

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