La spina del diavolo

Ci troviamo in Spagna negli anni 30. Mentre il resto d’Europa è sotto i fuochi della Seconda Guerra Mondiale, qui si combatte una sanguinosa guerra civile. Il protagonista di questo film è Carlos, un orfano che viene portato in una sorta di istituto nel bel mezzo del deserto. Subito fa la conoscenza degli altri bambini e, soprattutto, con una presenza che di notte si palesa attraverso un sospiro. Ben presto le vicende ci mostrano che si tratta dello spirito di un bambino, uno dei tanti derelitti dimenticati di quello strano istituto, che è misteriosamente scomparso. Pian piano le vicende prendono forma e ci mostrano lo spettro più desolante dell’animo umano attraverso l’ossessione, l’avidità, la rabbia. La voce narrante chiede che cosa sia davvero un fantasma: se si tratta dello spirito di coloro che sono partiti da questo mondo in modo violento e non vogliono abbandonare il mondo dei vivi, infestando gli ambienti in cui vivono, oppure se si tratta di un’emozione che ha permeato i muri dove gli esseri umani hanno trascorso le loro misere esistenze alla ricerca di un riparo e di un posto dove stare tranquilli. Emozioni che pian piano perdono definizione come una vecchia fotografia scattata chissà quando, chissà perchè. Ciò che davvero inquieta e lascia sgomenti non è lo spettro di quel povero bambino di cui per molto tempo nessuno ne ha saputo il destino semmai la desolazione e la grettezza umana in tempo di guerra. E il finale non lascia nessuna speranza in chi lo vede.
Non sono sicura di volerlo consigliare. Dello stesso regista mi è piaciuto di più Il labirinto del fauno che avevo visto al cinema.

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